domenica 13 febbraio 2022

I cuccioli Corgi nascono tutti con parto cesareo? di Gianandrea Fasan

 Qualche giorno fa mi è stata posta una domanda alla quale apparentemente sembrerebbe facile rispondere ma che in realtà, dietro a quello che potrebbe essere un semplice “sì” o “no”, nasconde la necessità di un approfondimento che si apra su più fronti, da quello prettamente genetico a quello etico, comprendendo usi, costumi, necessità degli uni (cani) e degli altri (allevatori o comunque coloro che decidono di produrre una cucciolata).

Si tratta di aspetti consequenziali, come quando al supermercato togliamo dalla pila il barattolo di fagioli sbagliato e crolla tutto o magari, osservandola dal lato positivo, quando la boccia da bowling colpisce un birillo che a sua volta ne abbatte altri diventando elemento fondamentale per effettuare uno strike, raggiungere l’obiettivo. Qualcuno lo chiama effetto domino, aspetto al quale non ci si può sottrarre se si cerca di essere sufficientemente esaurienti nel caso di alcune risposte.

La domanda in questione, questo cavallo di Troia al quale devo il mancato godimento di una domenica d’inverno che regala un pieno di sole, è semplice e diretta: “E’ vero che le femmine Corgi non partoriscono spontaneamente?”

Sì, cioè, no! Anzi no, però sì. Cerco di spiegarmi meglio.

Quando mi affacciai al mondo dei Corgi, a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, mi venne subito segnalata la presenza in “alcune” linee di sangue di una certa predisposizione all’inerzia uterina. In altre parole femmine con uteri poco tonici, le cui contrazioni non avevano forza sufficiente a spingere i cuccioli attraverso il canale di parto. Questo accadeva nonostante tutte le alchimie ormonali funzionassero perfettamente. Erano anni in cui i parti cesarei non erano cosa comune e non potevano esserlo: non esistevano infatti anestesie in grado di consentire di operare con tranquillità sulla madre garantendo la sopravvivenza dei piccoli. Era un lotta contro il tempo che si consumava tra abilità del Vet e gocce di anestesia inoculate progressivamente alla madre mentre si estraevano e rianimavano i cuccioli il più velocemente possibile, per evitare che la quantità di anestetico assorbita diventasse per loro letale. Era quindi fondamentale per gli allevatori selezionare soggetti provenienti da quelle linee di sangue le cui femmine partorivano naturalmente, perché questa è una capacità che i genitori trasmettono alla prole all’interno del loro patrimonio genetico. E, se non ci pensavano loro, spesso ci pensava Madre Natura, riducendo drasticamente, o azzerando del tutto, le nascite dei portatori di questo come di altri problemi che si trasmettono geneticamente.

Ben presto però, grazie all’evoluzione scientifica, le nostre conoscenze in campo di anestesie hanno regalato tempo e garanzie di sicurezza a questo tipo di interventi che sono ovviamente aumentati progressivamente in maniera esponenziale. Esistono infatti diverse condizioni nelle quali si viene a trovare chi produce una cucciolata che possono spingere a optare per un “sicuro” parto cesareo, non tutte opportune, altre inevitabili, ma che cercheremo comunque di analizzare, pur consci del fatto che ci stiamo pericolosamente avvicinando alla famosa pila di barattoli di fagioli del supermercato. Il primo esito seguente l’incremento della pratica del parto cesareo nella nostra razza fu anche quello più ovvio, ossia l’aumento numerico dei soggetti prodotti da femmine che soffrivano di inerzia uterina e quindi anche di fattrici che un tempo sarebbero, ben presto, state escluse dalla riproduzione e che in questo caso potevano tranquillamente avere una vita riproduttiva normale.

Il secondo, più subdolo, anch’esso a trasmissione genetica, si è affacciato qualche tempo dopo e si tratta della distocia neonatale. Un evento in natura raro ma possibile, la cui diffusione Madre Natura controlla nel modo più drastico, provocando cioè la morte del cucciolo e spesso anche della madre. In altre parole si tratta di bellissimi cuccioli semplicemente troppo grossi per riuscire a superare il canale di parto e nascere spontaneamente, anche a fronte di contrazioni apprezzabili. L’aspetto che le fa guadagnare il titolo poco ambito di “subdolo” consiste nel fatto che questi bellissimi cuccioli nati enormi nel corso della crescita non mantengono le stesse gigantesche proporzioni ma progressivamente, nell’arco di pochi mesi, rientrano nella totale normalità, alcuni addirittura da adulti risultano più piccoli della media. A due mesi già sembrano dei normali cuccioli ben strutturati. E qui la pila dei barattoli di fagioli traballa...perché si entra nel territorio di chi ha visto e fatto nascere il cucciolo, che troppo spesso non è in malafede ma semplicemente ignora che cosa gli è capitato. Ho visto veramente decine di foto nei social di persone che presentavano con orgoglio il cucciolo-bomba da 440 grammi, un po’ come accadeva un tempo con i bimbi che nascevano di 5 o 6 chili. Mi si perdoni, non riesco a definirli allevatori, per quanto a volte anche titolari di affisso, ma privi di quelle conoscenze che trovo essere un bagaglio imprescindibile dalla figura dell’allevatore. Ma qui il barattolo di fagioli è caduto nella pila a fianco che traballa a sua volta. Fortunatamente si tratta di un articolo diverso e noi oggi ci atteniamo al reparto fagioli. Va detto, a onor del vero, che il Corgi non è razza facile in questo senso, ovvero anche senza parlare di distocia i cuccioli alla nascita sono già sufficientemente grossi rispetto alla madre in confronto a quanto accade in molte altre razze. Non si tratta di problemi insormontabili se si presentano con una fattrice che ha buone contrazioni e se il soggetto è assistito da persona capace e con esperienza ma diventano un dramma e si traducono spesso nella perdita totale o quasi della cucciolata se chi assiste lo fa superficialmente o addirittura non c’è. Sembra assurdo, ma per molte persone oggi diventa inaccettabile dover acquisire pratiche che richiedono applicazione, tempo e molta fatica, pratiche che non hanno giorni fissi né orari e richiedono solo costanza e dedizione totale quando serve. Molto più pratico elidere il tutto con un cesareo programmato. Oggi come oggi i veterinari sono preparatissimi relativamente ai cesarei, si sta praticamente al sicuro e soprattutto comodi. Si tratta solo di perdere 90 minuti dal veterinario su appuntamento. 

Faccio un breve excursus per puntellare, chiedo scusa, la pila a fianco perché ne ha bisogno. Non si tratta sempre e solo di inettitudine o inattitudine di chi decide di far nascere dei cuccioli, spesso esistono anche fattori che non risiedono per forza nella poca coscienza e buona voglia delle persone coinvolte ma sono oggettivamente rilevabili e giocano un ruolo tanto importante quanto plausibile nell’operare una scelta come quella del cesareo programmato. Al giorno d’oggi un servizio di monta, ovvero l’acquisto del seme di un soggetto costa attorno ai 2000 euro, ai quali si devono aggiungere i soldi per i test del progesterone (per determinare il momento giusto per l’accoppiamento), il viaggio, il soggiorno e l’inseminazione artificiale presso un Vet locale (ben 350 euro in Germania…. sigh!!!!) oppure 450/600 per una spedizione se si usa seme refrigerato. Ai quali ovviamente va aggiunto l’onorario del Vet che in Italia lo ricostituisce ed esegue la fecondazione. Morale della favola si parla di cifre che si aggirano attorno ai 3000 euro. Ma non esistono solo fattori economici a far definire un reale piccolo tesoro quello che porta in grembo una fattrice, se fosse questo il problema potremmo semplicemente dire che non è obbligatorio dover guadagnare dei soldi producendo una cucciolata. Infatti anche chi affronta queste spese spinto dai più nobili sentimenti di selezione, chi ha studiato l’accoppiamento e si aspetta di poter veder nascere dei cuccioli da poter inserire nel proprio programma allevatoriale guarda a questa cucciolata come a un vero e proprio tesoro da preservare il più possibile nella propria integrità. Ed ecco servito sul piatto un altro motivo che può logicamente spingere verso scelte come il cesareo programmato.

E’ chiaro che il rischio di perdere dei cuccioli anche di fronte a una femmina che soffre di inerzia uterina o che ha un qualsiasi problema durante il parto è direttamente proporzionale alla propria imperizia, perché sono comunque situazioni che, opportunamente seguite, si risolvono con un cesareo urgente e quasi mai comportano la perdita di un cucciolo. Formarsi in questo senso come già detto richiede però forte amore, studio, dedizione incondizionata e costante. Risulta più facile a tanti pagare il conto del Vet e alzare un pochino il prezzo del cucciolo.

E’ ovvio che dovrebbe essere l’etica allevatoriale a spingerci clamorosamente in una unica e diversa direzione, perché privare una specie della capacità di riprodursi autonomamente è aberrante, significa condannarla all’estinzione senza un aiuto esterno. Ma da questo punto di vista va detto che la nostra razza non è tra le più dannate, perché ancora esistono, anche se sempre più limitate nel numero, linee di sangue le cui femmine sanno partorire naturalmente mentre invece vi sono moltissime altre razze ormai a non essere neppure più in grado di riprodursi, non solo di partorire. Popolazioni intere di femmine atoniche, di cuccioli con i crani talmente esagerati o così grandi da non riuscire a passare tra le ossa pelviche e maschi privi di libido. Già, perché oggi non si usa neanche più tanto l’accoppiamento naturale. Certo, è fondamentale per la salute di madre, padre e futuri cuccioli, a volte anche per la nostra, quando si tratta magari di patologie che si trasmettono per contatto sessuale e che colpiscono anche noi, come la brucellosi. Però anche in questo caso basterebbe che tutti ci accertassimo delle capacità dei nostri soggetti di riprodursi per via naturale con una femmina di casa prima di offrirlo ad altri in servizio di monta. Ma anche qui c’è fatica, perché i cani vanno aiutati, occorre sapere come si fa e ci si spacca letteralmente la schiena. E qui l’effetto domino rischia di scapparmi di mano. E, prima che l’impiegato del supermercato mi identifichi come colpevole, sarà bene che mi allontani.

martedì 24 marzo 2020

Il Corgi Nasce dalla Spalla


 Ai tempi dei miei esordi nel mondo della cinofilia, la conoscenza della stessa era caratterizzata da un numero limitatissimo di pubblicazioni in materia e da una ampia diffusione di dogmi che gli allevatori del tempo dispensavano ai loro giovani aiutanti, in terra d’Albione conosciuti come kennel-boy. Assiomi che spesso giungevano alle orecchie come fini a se stessi, privi di spiegazione alcuna o quasi e di cui soltanto il tempo o le conoscenze aggiunte avrebbero dimostrato la veridicità o la infondatezza. Quindi la paternità della voce che, di volta in volta, sentenziava relativamente a qualcosa era quantomai importante, poiché spesso questi dogmi urtavano la logica del bipede, altre volte invece sembravano giustificabili quanto la premonizione di una sibilla o ancora, trovarne solo come puro sfoggio di boria e competenza oltre ogni limite. Come quando sentivo affermare “io scelgo i soggetti migliori di una cucciolata appena nati”, frase che pare una affermazione esagerata ma che si comprende bene con l’esperienza diretta e una osservazione consapevole: i cuccioli appena nati infatti non sono ancora ricoperti degli strati di grasso che ben presto il latte materno giustamente regala loro rendendoli certamente tondi e puffolosi, ma nascondendo anche la struttura ossea che invece, a cucciolo appena nato, risulta ancora sensibile all’occhio. Naturalmente tutto questo va condito da una preparazione in campo cinotecnico, perché un conto è vedere, altro è saper interpretare ciò che si vede.  

Sicché rimasi profondamente colpito il giorno in cui una della mie “Ladies”, la più tecnica tra le mie Maestre inglesi sentenziò: “Il Corgi nasce dalla spalla”.
Ora era chiaro che non si riferisse propriamente al metodo secondo il quale i cuccioli vengono al mondo, quanto al fatto che la spalla fosse la chiave attraverso la quale si sviluppava o meno un buon cane. Ciononostante, ammetto, se non fosse stata pronunciata da Miss Mae Moore non vi avrei dedicato tutta l’attenzione invece necessaria per comprendere quanto questa affermazione corrisponda a verità assoluta.
Per comprendere il motivo per cui una spalla corretta sia la condizione senza la quale non si realizza un buon Corgi occorre anzitutto rivolgere la nostra attenzione al movimento del cane, al modo cioè attraverso il quale lo stesso si sposta nello spazio che lo circonda. Cosa spinge avanti un cane in movimento, quali zampe usa un cane per trasferire la sua forza muscolare al suolo affinché si trasformi in energia cinetica? Stupirà, perché in cinofilia sentiamo tutti parlare di posteriori che spingono bene o spingono poco, ma il cane è come molte automobili, a trazione anteriore.
Per comprendere bene però la sostanza del suo movimento dovremmo rifarci idealmente ad una barca dove esistono quattro remi che lavorano indipendentemente fornendo tutti una potenziale spinta, ma con vettori differenti. Come ben sanno i vogatori veneziani della regata storica, quelli che volano sui gondolini a coppie, per far andare avanti una barca con i remi spaiati l’unico modo è che chi sta a prua, anteriormente, “tiri” ovverosia mangi acqua a tutta forza e che il secondo invece dedichi i suoi colpi di remo a compensare la forza della trazione per direzionare il mezzo. Questo accade esattamente anche nel cane e, almeno in questo, il nostro piccolo amico a zampa corta non si discosta dai suoi simili. Quindi, quando si vede un posteriore che pare posare leggermente, o che ondeggia a destra e sinistra il difetto non andrà per forza cercato nel treno posteriore, perché sicuramente dipende anche da una spalla non corretta, la quale propone una trazione poco consona e impone al posteriore correzioni al di fuori della norma. Correzioni che costano in termini di energia e non producono moto, così come il movimento non corretto di una spalla. E’ chiaro a tutti quanto importante sia la facilità di movimento in un soggetto da lavoro quale il Corgi, quanto fondamentale sia la possibilità o meno di ottimizzare il rapporto sforzo/spazio coperto. Un cane che disperde energie si stanca prima e di conseguenza lavora meno.
Le ossa principali da osservare quando dobbiamo valutare correttamente un anteriore nel suo movimento e struttura sono la scapola anzitutto, il suo angolo di incidenza rispetto al suolo e quello rispetto all’omero, relativamente al quale ne va valutata anche la lunghezza, che deve essere simile in entrambi. L’osso della scapola scende verso la punta del petto abbracciando il torace con un angolo di circa 45 gradi rispetto al suolo, l’arto poi si ripiega verso dietro grazie all’omero con un angolo retto, di 90°. In questo assunto stanno racchiuse le prime due fondamentali differenze tra i Corgi e le altre razze canine, che presentano infatti un omero normalmente più lungo della scapola e un angolo di incidenza aperto, ben oltre i 90°. Di qui la difficoltà di riuscire ad inquadrare ad occhio la struttura di un soggetto da parte di chi, esperti giudici in primis, non hanno una più che ortodossa conoscenza della razza. Problema che per i medesimi motivi si trasferisce nell’allevamento. Poiché infatti neofiti e persone meno preparate tendono a valutare l’arto anteriore nella sua totalità, spesso accade di vedere soggetti che presentano un anteriore all’apparenza normale ma che in realtà è la somma esatta ottenuta con addendi sbagliati. Ed è così che omeri molto corti vengono spesso compensati da spalle con angoli aperti, restituendo quindi solo in apparenza la giusta struttura, ma essendo in realtà frutto di una totalità di errori che poi vengono trasferiti alla progenie. Ma per quale motivo è così importante questa particolare struttura per un Corgi? Perché il nostro amico a gamba corta sfrutta tutta una serie di “trucchi”, unici nel panorama cinofilo, per compensare la limitata lunghezza totale del suo arto e in realtà la qualità del suo movimento è data da tutta una serie di assetti strutturali che non possono assolutamente mancare, pena la trasformazione del nostro capace e ficcante amico dal movimento radente e veloce in un barilotto che ondeggia a destra e sinistra mente avanza a fatica a piccoli passi.
Il primo e più importante tra tutti consiste nello slittare in avanti la scapola durante la falcata, seguito dall’estensione dell’angolo scapolo-omerale. Questo in buona sostanza consente al nostro amico di estendere il proprio arto anteriormente, guadagnando terreno come se avesse una gamba di diversi centimetri più lunga. Azione che sposterebbe esageratamente il baricentro del nostro amico sino a farlo cadere se, come le altre razze canine, il Corgi muovesse mantenendo gli arti anteriori paralleli, cosa che non accade. Se infatti lo osserviamo mentre ci viene incontro, ci accorgiamo facilmente che il piede poggia a terra quasi centralmente, una volta che l’intero arto è passato agevolmente al di sotto del petto, favorito dagli angoli inizialmente chiusi. Esattamente lo stesso movimento che compiono i nuotatori di crawl, quando spingono anteriormente la spalla per andare a “prendere” l’acqua il più distante possibile. E’ evidente che per esercitare questa quantità di allungamenti il Corgi necessita di una struttura muscolare che la giustifichi, così come dei legamenti particolarmente lunghi, in grado di reggere e accompagnare l’intero movimento. Ecco perché si raccomanda sempre estrema attenzione durante le fasi di crescita, periodo della vita del cane in cui tutto in lui è particolarmente “molle” e, soprattutto, ecco perché far indossare la pettorina a un Corgi è una dannosa tortura, con esiti davvero fastidiosi per ossa, legamenti e soprattutto giunture, che vengono oltremodo sollecitate e si usurano molto più in fretta, originando dolorose patologie. Infatti, anche quando non impediscono del tutto lo slittamento anteriore della spalla, come nel caso di alcune pettorine ad H o Y, incidono sulla posizione dell’arto andando ad occupare attorno al torace lo spazio che invece dovrebbe ricevere il gomito quando l’arto ritorna indietro. Come conseguenza il gomito viene ruotato esternamente, con un movimento che parte dalla punta della scapola e porta in torsione le ossa che interessano l’intero arto. A questo punto non si può più parlare di punti deboli di una morfologia, ma di corretta gestione e conoscenza del proprio cane. Chiunque credo nella vita ha dovuto indossare un paio di scarpe scomode, che creavano dolore in un punto durante la camminata e si sarà accorto di quanto presto, se costretto a camminare, insorgevano dolori in tutt’altre parti dell’arto, spesso addirittura in quello opposto. Lo stesso accade quando per un motivo o per l’altro, un torcicollo, il colpo della strega o una qualsiasi zoppìa, noi ci muoviamo in maniera non corretta. Presto insorgono dolori muscolari e articolari dovuti ai movimenti inopportuni che si compiono per compensare il problema.
Il movimento di allungo dell’arto anteriormente nel Corgi è talmente marcato e importante che non può in alcun modo venire soffocato, sicuramente non con pettorine e strumenti sbagliati, ma anche con accumuli di grasso, che hanno il medesimo effetto sull’andatura, poiché vanno a occupare anch’essi luoghi “sbagliati”, quelli cioè interessati dal movimento dell’arto. E poiché i principali accumuli di grasso, le “maniglie dell’amore” per un cane non stanno come noi sulla panza, ma si trovano giusto dietro le spalle, ne consegue che dobbiamo prestare una particolare attenzione a mantenere il nostro beniamino in buona forma fisica.


mercoledì 31 luglio 2019

Cosa significa essere nani?


Il nanismo è sicuramente la caratteristica che primariamente identifica la nostra razza e questo certamente lo sanno tutti i felici proprietari di Corgi.
Ciò che però più spesso si ignorano sono le condizioni che hanno consentito il palesarsi di questa caratteristica così specifica, aspetto che ci porta a considerare i nostri soggetti come cani le cui zampe sono “semplicemente” un po’ più corte delle altre. Non è così in realtà e non esserne a conoscenza spesso guida noi verso ansie inutili quanto scientificamente infondate e professionisti, a volte poco preparati in materia, alla ricerca di chissà quale patologia, riservando ai nostri cani inutili e onerose pratiche invasive quali anestesie e dislocamenti ossei.
Cerchiamo dunque di capire che cosa significa essere nani, onde evitare di fare la figura dei genitori che pensano di avere un figlio malato perché a 13 anni inizia a modificare la voce e a riempirsi di pelo. Tranquilli, non si sta trasformando nell’uomo lupo e neppure in una scimmia.
Essere nani significa principalmente essere affetti da una patologia, geneticamente trasmissibile, che comporta la formazione difforme delle ossa prossimali, quelle cioè vicine al corpo. Questa patologia si chiama CONDRODISPLASIA.
Nome costituito da “condro-” dal greco chondros, cartilagine e “displasia”, sempre dal greco, ovvero “crescita malforme”.
Ma fermiamoci qui, alla parola displasia, che già fa venire il batticuore a solo sentirla nominare. Questo mostro che si combatte senza successo da decenni, con schiere di Don Chisciotte in camice bianco e altrettanti servitori. Non voglio entrare nel merito dell’apprezzabilità scientifica secondo la quale i medici veterinari catalogano come displasia dell’anca il problema (o meglio, la serie di problematiche) che spesso coinvolge le anche dei nostri amati a quattro zampe. Non almeno in questo breve scritto, nel quale mi interessa invece soffermarmi su di un aspetto inoppugnabile: i Corgi sono tutti affetti da condrodisplasia. Ovvero una patologia che si manifesta durante lo sviluppo e che determina una crescita malforme, deforme, della parte ossea prossimale degli arti.
Quanto questa fase di crescita sia spesso faticosa e dolorosa lo sanno bene gli umani colpiti dal medesimo problema. Questo perché le articolazioni malformi devono in qualche modo trovare una propria sistemazione per poter lavorare opportunamente nonostante la deformazione, che oltre a questo pone sotto stress legamenti, rotula e tutti gli “snodi” del nostro corpo che avrebbero bisogno di incastri invece perfetti. Il Corgi quindi, per definizione, nelle gambe perfetto non lo può essere.
Non comportatevi quindi come se lo fosse. Mentre cresce abbiate coscienza di quanto più sotto stress è il suo treno anteriore rispetto a quello di un cane di un’altra razza normolinea. Ossa che crescono storte pongono tutto l’intero apparato motorio sotto stress e il rischio di incidenti e di vere e proprie consunzioni ossee è reale per il cane gestito con leggerezza. Fortunatamente questo aspetto è transitorio e riguarda solo la fase di formazione del nostro cane. Una volta cresciuto, dopo l’anno, anche il nostro nano potrà usare i suoi arti con la forza che conosciamo. Comportatevi come se aveste un cucciolo di mastino, soprattutto i proprietari di Cardigan, che come è noto hanno le zampe anteriori molto più “storte” dei Pembroke.
Quanto “storte” saranno le gambe del vostro Corgi la genetica non ce lo dice, così come non ci dice neppure come si storgeranno. Si tratta di casualità e concause che variano da soggetto a soggetto. Sappiamo solo che cresceranno difformi.
Come questa difformità possa essere, tramite indagine radioscopica, definita o meno come una insorgenza patologica estranea alla medesima patologia che già per definizione affligge un cane bisognerebbe chiederlo ai veterinari che si sono costruiti queste nuove verità scientifiche. Capire cioè come la testa a fungo di un femore (uno degli aspetti che servono a identificare la “displasia” nei cani) possa in un Corgi essere ritenuta normale e quando invece non lo sia ha gli stessi fondamenti scientifici della lobotomia. 
E, come la lobotomia, vuole che l’esame per la valutazione (attenzione, esame senza risultanza scientifica ma frutto della media dei “voti” di un pool di medici giudicanti) sia effettuato con una pratica cruenta che prevede appunto la torsione della gamba e la dislocazione del femore.
Tranquilli, tutto questo lo potete evitare e l’esito, gratis, ve lo posso dare io senza nessun dolore, di tasca o gambe che sia: il vostro corgi è displasico. Condrodisplasico. E auguratevi che abbia ragione, perché altrimenti vi hanno bidonato e rifilato un altro cane.


lunedì 25 febbraio 2019

Wicca - Almarosa Blu di Prussia


Wicca è stata Wicca dal primo momento in cui l’ho vista. 

E’ nata dalla mia prima cucciolata di Cardigan, da quella cucciolata tanto desiderata quanto attesa proprio perché segnava, dopo l’inizio di quella nuova avventura che era stata allevare un’altra razza diversa dai Pembroke, la concretizzazione di un desiderio di vecchissima data. Inoltre, per me era più che allevare un’altra razza, si trattava in qualche modo anche di affrancarmi dal sapere di Gianandrea, non che questo sia mai stato un problema, ma avevo bisogno di iniziare una mia strada con un’esperienza nuova nella quale naturalmente lui sarebbe sempre stato lì a vegliare e a volte a ficcanasare, ma nella quale potevo avere una mia autonomia di azione e di decisione. Questo è quello che pensavo a priori ma poi nella pratica il suo ausilio e soprattutto la sua conoscenza è stato ed è sempre fondamentale nelle scelte importanti.
Wicca è nata da Iggy, la madre-Corgi più brava che io abbia mai visto, la fattrice che ogni allevatore vorrebbe avere, bella, brava nella vita di tutti i giorni, nel parto, nell’accudimento dei suoi sempre numerosi cuccioli che con equilibrio e fermezza li ha accompagnati nel diventare compagni di vita meravigliosi.
Ed è anche figlia di Ozzy, il mio “freccia grigia”, il cane più buono che ci sia, obbediente, brontolone, parlante, a volte un po’ arrogante con gli altri cani nel tentativo di darsi un tono consono alla sua mole ma buono fondamentalmente buono, dote che ha trasmesso alla maggior parte dei suoi figli. E questa bontà a Wicca, a molti dei suoi fratelli e a Ozzy, gliela si legge negli occhi, quegli occhi pieni di emozioni che parlano per loro.
E’ diventata campionessa italiana di bellezza come si suole dire “a mani basse”  nel senso che ha partecipato al numero minimo di esposizioni necessarie per acquisire questo titolo.

Mentre cresceva sognavo per lei un matrimonio importante perché sentivo avrebbe potuto essere una madre meravigliosa trasmettendo ai suoi piccoli i molti pregi patrimonio del suo DNA, sia fisici che caratteriali, e lo scorso anno ci abbiamo provato per la prima volta con Fedor, il nostro Corgi-Lover, con un super pedigee, arrivato quasi appositamente dalla Russia. Ma la gravidanza non è andata come previsto e a 52 giorni con un parto prematuro ha fatto nascere e morire tutti i suoi 11 cuccioli o quello che di loro si poteva intuire. Non sappiamo ancora ciò che realmente è accaduto, probabilmente un’infezione di origine batterica che, nonostante lei fosse stata controllata prima dell’accoppiamento, può succedere anche se a noi in molti anni di allevamento non era mai accaduto.
Ma ci abbiamo riprovato, sempre con il bellissimo Fedor, e oggi, mentre scrivo queste righe, è il cinquantacinquesimo giorno di gravidanza, tre giorni più avanti rispetto alla data in cui la volta scorsa si è interrotta ma lei, questa volta, sta bene. Questa gravidanza, in concerto con il nostro eccezionale veterinario che ci segue nella riproduzione, dott. Mauro Ronchese, è stata monitorata fin dall’inizio proprio per verificare la possibile insorgenza di anomalie e porne rimedio tempestivamente con eventuali terapie mirate. Fino ad oggi tutto è andato nella giusta direzione, lei è vivace e mangia  a sufficienza, il suo pancione cresce e ora per noi inizia il conto alla rovescia ripreso, più o meno, laddove la volta scorsa tutto si era interrotto ponendo fine alle nostre aspettative, probabilmente anche a quelle di Wicca, lasciandomi un’amara delusione e la tristezza che forse questa bellissima Corgina dall’aura celestiale non fosse nata per essere mamma.  
Ma Wicca, come il significato del nome che ho scelto per lei, sono certa è nata per creare armonia, per dare forza a se stessa e a chi le sta vicino e con coraggio, come un gesto scaramantico al contrario, ho voluto oggi condividere questo pensiero triste e felice insieme, con positività sento che andrà tutto bene perché lei mi guarda con quegli occhi buoni, quegli occhi che parlano e mi dicono di stare tranquilla.

Wicca è un cane speciale, e qualcuno potrebbe dire che per me sono tutti speciali e che nei miei racconti a un certo punto lo dico sempre; è vero e penso che i nostri pelosi per ognuno di noi e in modo sempre diverso siano tutti speciali, capaci come sono di comprenderci e di arricchirci rendendoci migliori.

domenica 30 dicembre 2018

Botti di Capodanno, che fare?


 Come ogni anno in questo periodo si torna a parlare di botti e del terrore che molti dei nostri amici a quattro zampe manifestano dinanzi a essi, una situazione davvero spiacevole che può sfociare in diversi comportamenti compulsivi e che è in grado di condizionare fortemente le nostre serate di festa in compagnia dei nostri cani.

 La richiesta da parte delle persone che si informano sui metodi per placare le ansie o per risolvere i problemi connessi genera in rete una proposta assai vasta di risposte. Spesso queste risposte arrivano anche da persone titolate, con competenze specifiche, ciononostante presentano a volte inesattezze, o letture errate di studi più recenti. A volte rimangono fortunatamente parole perse nel vuoto, altre purtroppo generano comportamenti sbagliati, con esiti spesso disastrosi. E’ il caso dell’articolo di recente pubblicato dalla dottoressa Gargano, relativamente agli abbracci e alla possibilità di “confortare” il proprio cane in crisi di panico con gli stessi. 
Citando a riprova della sua teoria lo studio della Dottoressa Kerstin Uvnas-Moberg, luminare in campo degli studi sugli ormoni del “benessere”, nei quali si ottiene palese conferma della produzione di ossitocina durante gli abbracci… dimenticando però che lo stesso studio, ahimé, conferma quanto già risaputo dai tempi di Eibl-Eibesfeldt, ossia che tutto questo si realizza esclusivamente tra primati, uomini e scimmie, che sono gli unici esseri viventi a usare l’abbraccio per dimostrare affetto, protezione e quant’altro.
 Aspetti decisamente più pregnanti (ma qui parliamo di una studiosa che vive con i cani) vengono esposti dalla dottoressa Gallicchio e ci consentono di percorrere le varie tappe attraverso le quali si va realmente fissando questo problema e di dimostrare come molto probabilmente siano proprio gli atteggiamenti sconsiderati da parte nostra, nel vano tentativo di porvi rimedio, a produrre gli esiti più terribili. Chiunque infatti affronti sul campo la soluzione dei problemi comportamentali ben presto si accorge della scalarità con la quale il problema si manifesta. Nessun cucciolo entra nel panico al primo botto. Tutti i proprietari segnalano una crescente paura, che si va marcando anno dopo anno, sino a sfociare in episodi fobici puri, incontrollabili. Cosa accade? Come spiega la dottoressa Gallicchio, il cucciolo rimane probabilmente perplesso, dubbioso, di fronte a questi scoppi potenti ai quali non sa dare una spiegazione e cerca conferme attorno a sé, ma occorre che si associ a questa condizione qualcosa di spiacevole che ne marchi o ne confermi in qualche modo lo status di “pericolosità” per il cane affinché si trasformi in paura. Esattamente come accade per i forti temporali e per tutti quei fenomeni impressionanti ai quali il cane non sa dare un’origine o una spiegazione. 

Esempio classico è quello del cane che si ritrova chiuso in terrazza allo scoppio di un temporale, senza possibilità di fuga, ma non solo. Se infatti ci è facile capire le dinamiche che scattano nella mente del nostro povero amico nella condizione specifica appena citata, in altri casi risulta più complicato comprendere chi e cosa giunge, nel corso degli anni, a confermare al nostro compagno la giustezza del suo crescente terrore. Da buon osservatore e allievo di Lorenz escludo a priori l’interpretazione e cerco conferme nel mondo animale attorno a me. La prima, potente, mi giunge chiara da tutte le specie animali che vivono allo stato brado, le quali non entrano nel panico dinanzi ai noti fenomeni atmosferici. Questo quindi (non bastassero gli esperimenti in materia compiuti negli anni da molti studiosi) esclude in primis dai possibili “indiziati” ogni fenomeno naturale. Assolto “il resto del mondo”, mi restano quindi i bipedi vestiti, con i loro usi e costumi, le loro abitudini, le strutture che compongono il loro mondo. E qui mi fermo, perché, se non riesco a dire con precisione matematica quale sia il comportamento corretto da tenere, con certezza conosco quali sono invece i comportamenti da evitare. In pratica tutti quelli tenuti dalle persone che hanno cani che manifestano fobie in questo senso quando i loro cani entravano in stress. Mi pare ovvio. Di qui la mia domanda: quanto diffuso pensiate sia tra i proprietari il comportamento di confortare, coccolare, blandire a parole un cane spaventato? La risposta è altrettanto ovvia:

estremamente diffuso. Come negare che è la cosa che ci viene più spontanea? Ce lo dice la nostra biologia che, da bravi primati, “sa” quanto sia confortante per noi un abbraccio, quale scarica di ormoni “positivi” esso generi, come detto sopra. Ma solo per noi primati. Mi si obietterà che i nostri cani gradiscono le coccole e gli abbracci. Questo è vero, ma è un comportamento acquisito, che imparano tanto quanto un nuovo linguaggio. E per farlo hanno bisogno di tempo e di conferme, ma ci arrivano. I cani sanno imparare nuovi linguaggi, e non solo quello dell’uomo, come dimostrano i milioni di cani che vivono in totale armonia e simbiosi con i gatti nelle nostre case. Ma esattamente come accade per noi quando impariamo un nuovo linguaggio, hanno bisogno di tempo. Di certo un cucciolo non sa godere di un abbraccio, come sanno bene tutti gli allevatori fin dal primo momento in cui han provato a strapazzare di languide coccole un tenero cuccioletto. Un cucciolo in braccio le prime volte entra subito in stress, sbadiglia e distoglie lo sguardo, è in tensione.
 Insomma, vorrei tanto poter dare ragione alla dottoressa Gargano ma un cucciolo spaventato certo non trae beneficio dal nostro tipo di conforto. Anzi. Riceverà segnali che interpreterà secondo il suo linguaggio, assai probabilmente trovando conferme al suo status di stress.

Se poi vogliamo anche addentrarci in una presunta possibilità di umana funzione dell’abbraccio sul cane, dobbiamo considerare che anche per noi lo stesso genera differenti livelli di produzione di ossitocina, conformemente alle varie situazioni. Va da sé che da bambini l’abbraccio della mamma ha un potere assoluto, vincente dinanzi a qualsiasi mostro terrificante. Ma provate a pensare a voi, se alla stessa età, in una situazione analoga, foste stati abbracciati da un altro bimbo o da un adulto altrettanto tremebondo: credete forse che ne avreste avuto i medesimi benefici? 
Anche per noi conta quindi “chi” compie l’azione, e qui occorre allora chiedersi “chi” siamo noi, eventualmente, per i nostri cani. Chiediamoci soprattutto quale tipo di personalità possiede quel proprietario che si tuffa a confortare il suo cane a suon di coccole e con voce mielosa e quale sia quindi il ruolo che ricopre per il suo cane. Certamente il suo abbraccio verrà letto in maniera similare a quello di un fratellone impaurito. 

Ancora una volta ciò che mi conferma questa affermazione giunge dalla comparazione degli studi effettuati, onere purtroppo troppo spesso dimenticato dalla scienza odierna. Se cerchiamo il motivo della presenza dei buchi neri di conoscenza tra scienze umane affini lo dobbiamo purtroppo a questo enorme limite degli studiosi e del mercato che li occupa. Dalla pratica osservazione del problema attraverso educatori e comportamentisti attivi abbiamo chiaramente evinto come il problema sia particolarmente marcato nelle razze da pastore conduttore, assente del tutto nei difensori e nei molossoidi. Cercare delle risposte nella sensibilità degli uni rispetto agli altri è fuorviante e, fermandoci a questa semplice osservazione potremmo aprire la strada a un mare di differenti e fantasiose spiegazioni.  Per capire invece il motivo per cui questo accade dobbiamo riferirci alla scala neotenica e all’età mentale che raggiunge un cane da adulto. Scrivendo i nomi delle varie razze accanto ai vari gradini, ci accorgeremo infatti che il problema aumenta con l’aumentare dell’età mentale che una razza raggiunge allo stadio adulto. Tanto maggiore è, quanto più risultano “sensibili” alla paura di botti e temporali. Capire perché questo accade ci regala la conferma di quanto affermo o, quanto meno, la certezza di cosa non fare, poiché rientra fra gli atteggiamenti a rischio. 
Infatti soltanto inserendo questa ideale cartina tornasole attraverso gli indizi provenienti da diverse aree di studi ho trovato la risposta, che risiede nella diversa ottica attraverso la quale un pastore conduttore (cane adolescente o preadolescente) osserva il suo “bipede”, rispetto a un molossoide (cane infante) e affini. Per il cane infante infatti il bipede molto facilmente rappresenta la mamma-Dio, ruolo che si ricopre per automatismo e le sue certezze biologiche derivano dal contatto con la stessa, dal fatto che sia presente, effetto bastante a garantire vita e sicurezze.


Diversamente nel periodo preadolescenziale, così come in quello adolescenziale, esiste la massima attenzione a quelle che sono le azioni dei soggetti di riferimento, dei leader, l’ottica attraverso la quale il cane imposta la sua vita è differente. Se per il cucciolo l’obiettivo primario della vita è non perdere il contatto con mamma-tutto, che rassicura e nutre, con la crescita l’obiettivo diventa la cooperazione col leader, che si sublima nell’atto della caccia comune. Sempre con il medesimo obiettivo quindi, nutrirsi e proteggersi, ma con diversa motivazione e quindi, con diverse risposte ai medesimi stimoli. Per i primi infatti è fondamentale che la madre ci sia, per i secondi invece non conta la presenza ma ciò che fanno i leader, i suoi riferimenti nel gruppo. Attenzione quindi non più alla persona, ma all’azione che la stessa compie, come espressamente richiesto in quella delicata fase formativa e per il resto della vita. 
Per questo mi sento di poter affermare che molto spesso sono i nostri vani tentativi di confortare i nostri cani a renderli sempre più sensibili ai botti, anno dopo anno. Sono le nostre reazioni, fosse anche soltanto il vagare per casa cercando soluzioni di tutti i tipi, perché questo ho visto e ascoltato nei racconti dei proprietari in questi anni. Quando ti rendi conto di aver preso una strada sbagliata ad un incrocio torni indietro e poi tutto puoi fare, tranne scegliere nuovamente la stessa strada. Regole empiriche che i navigatori hanno reso inutili e gli studiosi han dimenticato. 

Una volta compreso questo la strada che personalmente ho imboccato con buon successo da qualche anno si chiama “fiesta grande”. Sicché i rintocchi della campana terrorizzante, il rombo terribile del tuono, lo scoppio del petardo, per me diventano lo squillo di trombe che segnala l’inizio della festa del cibo. Solo gioia, dalle mani cadono prelibatezze di qualsiasi tipo. Non sono un rude e io me la gioco così. Affermare che non si deve coccolare un cane spaventato non significa fare i duri o essere insensibili, la vera sensibilità di un buon bipede sta nel capire ciò di cui ha bisogno il suo cane e comportarsi di conseguenza. Quindi tenete in tasca la voglia di tenerezze per l’ultimo dell’anno e siate pronti a sparare pezzi di panettone e allegria assieme ai petardi dei vostri incoscienti vicini. Fatelo coi cuccioli soprattutto e non troveranno conferme ai loro dubbi. Molti addirittura lo digeriranno come un fastidioso segnale positivo.
Per i proprietari invece di soggetti adulti che presentano già il problema in maniera marcata si può provare. Qui dipende dall’età e carattere del soggetto e da quanto siete bravi voi come festaioli!!!
Godetevela così, con buona pace degli aspiranti teneroni a tutti i costi.
A capodanno nessuna dolcezza…. Ma molti dolcetti!
Buone Feste a tutti!








domenica 18 febbraio 2018

Opalini di tutti i colori

 La nascita dei nostri piccoli è sempre un grande momento di attesa, aspettativa e felicità .
In questo senso anche l’arrivo degli Opalini, i cuccioli di Opal e Ozzy, è stato come sempre motivo di gioia infinita e di euforia contagiosa perché amiamo moltissimo questi due pelosi… così come tutta l’allegra brigata di spargipelo, d’altro cantosicché l’occasione di una nascita, che per noi è comunque sempre “la” nascita, ci fa diventare come quei nonni che stanno attaccati al vetro delle nursery a litigare per il dominio delle somiglianze familiari dei piccoli neonati. Verificare le somiglianze e le peculiarità che più ci piacciono dei genitori riflessi sui loro piccoli è quasi una gara a chi ne scopre di più perché mette in gioco abilità nel riconoscerle, abilità che, puerilmente, ci fanno sentire davvero grandi e orgogliosi allevatori. Una cucciolata oltre a essere un meraviglioso momento di pura felicità fine a se stessa è anche un buon momento di riflessione sul lavoro di allevamento, un importante tassello che si aggiunge a un puzzle che mai si completa e che sempre si modifica, nella speranza e convinzione che ciò avvenga per il meglio. 
E il ruolo dei colori, nei Cardigan molto più che nei Pembroke, è parte importante di questo lavoro poiché la volontà di rispettare le regole dettate dallo standard italiano (ENCI) e internazionale (FCI) ci pone di fronte a una questione da tempo irrisolta, quella dell’importanza o meno di creare delle discriminanti su basi estetiche quali il colore del pelo, del semplice tartufo (il naso) e delle rime palpebrali, come vedremo nel nostro caso. Sui nostri Cardigan eseguiamo i principali test genetici per la tutela della loro salute ed eseguiamo anche quelli per la trasmissione dei colori proprio per cercare di pianificare gli accoppiamenti nel modo migliore ma come natura insegna la diversità genetica è un patrimonio inestimabile e se l’attenzione alle trasmissione delle malattie genetiche per noi è rilevante, prioritaria e condizionante, quella per la trasmissione dei colori sinceramente ci lascia un po’ perplessi.
A rigore di standard nel Cardigan sarebbero ammessi tutti i colori di pelo: il problema sta invece nel colore del naso, rime palpebrali e labiali, che deve essere nero. Cosa che di fatto porta a escludere tutti i colori a base fegato, o marrone che è chiaramente una semplice colorazione e nulla ha a che vedere con degenerazioni o patologie. Non bastasse questo, l’evidenza è data dalle numerose razze da lavoro in cui è presente la colorazione marrone e molte delle quali (tipo lo Sheperd Australiano, il Cattle dog, il Kelpie, tanto per citarne alcune) svolgono addirittura le medesime mansioni del nostro amato Gallese a gamba corta necessitando, presumibilmente, di simili attitudini. Da tempo ormai i biologi genetisti, quelli stessi che ci aiutano a identificare tramite analisi del DNA ciò che reca o meno il genoma dei nostri beniamini, ci ammoniscono sul fatto che il vero rischio per una specie sta nella poca variabilità genetica, non nelle mutazioni che sopravvengono.
Non esiste una sola specie vivente, animale o vegetale, che si sia estinta per una mutazione sopravvenuta nel proprio genoma e che la rendesse inadatta alla vita! Ormai sappiamo bene che le specie viventi possono essere presenti in miliardi di esemplari sulla terra e rischiare di estinguersi se questi esemplari presentano tutti lo stesso genoma. E’ il caso della banana Cavendish,
distribuita in miliardi di piante ma tutte provenienti dal medesimo clone, sterile, quando è stata aggredita da un banalissimo fungo che però ha avuto un effetto devastante su quell’unico genoma che evidentemente non recava in sé la capacità di contrastarlo. Cosa che invece sarebbe sicuramente accaduta a più riprese se la popolazione esagerata di banane commerciali del mondo avesse trovato origine da diversi cloni provenienti da differenti piante. Se vi piacciono le banane voglio tranquillizzarvi, abbiamo imparato la lezione e salvato la permanenza di questo frutto esotico sulle nostre tavole.
Creando ovviamente una base che possedesse una ampia varietà genetica. Usando cioè più cloni di ceppi differenti. 
Ora, a fronte di tutto questo e soprattutto poiché parliamo di una razza come il Cardigan, presente invece in alcune migliaia di esemplari soltanto nel mondo, una qualsiasi azione che escluda una parte di genoma (rappresentata da quei soggetti portatori di alcune caratteristiche) arbitrariamente, senza cioè nessuna motivazione legata alla salute o all’attitudine richiesta, ci pare davvero una azione sconsiderata. Non vi sono altre parole. Controlliamo e in qualche modo marginalizziamo già giustamente quel che serve: oggi lavoriamo esclusivamente su soggetti liberi da Atrofia Retinica Progressiva (PRA free) e offriamo la garanzia di soggetti che non siano a rischio per la Mielopatia Degenerativa (DM), le due patologie che si possono manifestare nella razza e che sono controllabili tramite esame del dna.
Controlliamo il carattere e la morfologia, anch
e qui ovviamente “selezionando”… il che comunque in qualche modo significa escludere. Pensiamo possa bastare così, ed è questo il nostro obiettivo. Sicché, scegliendo di accoppiare Ozzy e Opal, sapevamo che entrambi erano portatori dell’allele b, che determina la diluzione del nero in marrone sia nei tricolori, nei quali appunto il prevalente colore nero diventa marrone, sia nei blue merle dove le parti di nero diventando marrone danno al colore l’aspetto e la conseguente denominazione di “red merle”. Sapevamo quindi che avremmo prodotto molto probabilmente dei soggetti fuori standard per quanto riguarda il colore. A conti fatti si sarebbe dovuto trattare di un soggetto o due al massimo, stando a quanto evidenziato da Mendel. Ma, come sempre accade in questi casi, piuttosto che non osservare le leggi trascritte dal Grande Padre della genetica, i nostri puffolotti dimostrano chiaramente la veridicità della legge di Murphy (avete presente… quella che fa arrivare l’autobus soltanto quando voi vi siete allonanati troppo dalla fermata) e sembrano frutto della fantasia di Arlecchino . Già, i nostri bellissimi otto Opalini sono nati di tutti i colori!
Due bei maschietti brown e due red merle…. Ovviamente con gli occhi azzurri… non ci facciamo mancare nulla! Noi li guardiamo crescere e, mentre il buon Murphy si frega le mani, riconosciamo quanto morfologicamente un paio di questi siano assolutamente grandiosi. Pensiamo con rammarico che se fossero nati qualche anno fa oppure se appartenessero a un’altra razza sarebbero forse i soggetti di punta della cucciolata e avrebbero forse visto riconosciuto a tutti i livelli il giusto merito. Non sarà così ma poco conta, perché fortunatamente qui in Italia l’ENCI non pone restrizioni nell’allevamento ma solo nelle esposizioni, quindi si tratta semplicemente di trovare un altro tipo di divertimento, se è questo il problema. Purtroppo però non è così ovunque nel mondo ed esistono altre realtà, come ad esempio in Francia, Svizzera, Slovenia, dove non si può far riprodurre un soggetto se questo non ha superato una sorta di esame che ne verifichi la morfologia, cioè l’attinenza allo standard ufficiale. E questo porta per forza all’esclusione di soggetti sanissimi, bellissimi, bravissimi magari perché hanno un occhio celeste e sono neri o hanno il naso marrone.
Ancor più stupidamente poiché trattandosi di di portatori di geni recessivi possono, con i giusti accoppiamenti, generare soltanto figli dai colori “graditi”, restituendo intatto il panorama genetico alle generazioni future. Invece, certuni chiedono di gettare via un intero corredo di ricchezze per una macchiolina bianca in un posto dove è stato deciso che non sta bene, con degli effetti devastanti su quello che è la salute futura di una razza. E questo nel nome di una cinofilia che invece con atteggiamenti ignoranti e ottusi si va uccidendo.

venerdì 8 settembre 2017

No e sempre no ai cani di moda

Che le due razze siano in piena e forte ascesa ormai si è ravvisato da tempo e che questo non sia auspicio di conseguenze positive anche.
Abbiamo davanti agli occhi diversi esempi di razze rovinate geneticamente ed esteticamente per effetto delle tendenze del momento e l’idea che anche il Corgi possa subire simili mutamenti francamente mi terrorizza. 

Mi terrorizzano e pietrificano anche la quantità di messaggi che pervengono giornalmente alla nostra casella di posta elettronica con domande più o meno insulse, tanto che alla maggior parte rispondiamo, cercando di essere cortesi (e a volte è davvero faticoso!), in modo stringato ed evasivo con nessuna intenzione di affidare i nostri piccoli a persone tanto superficiali.
Allo stesso modo non riceviamo in visita persone che non abbiano già le idee chiare.

Perché spesso si pensa a un allevamento come a una struttura a se stante dove si trovano più o meno cani da vedere a giorni e orari fissi come in un negozio. Il nostro non è di questo tipo, i nostri pelosi vivono con noi e le persone che vogliono conoscerli visitano la nostra casa. Ecco, sono francamente stanca di ricevere nella mia casa, nella mia intimità chi molto spesso sta solo facendo il classico giro domenicale a vedere cuccioli anziché andare al Centro Commerciale e nel nostro caso visto che abitiamo vicino al mare dopo aver fatto la canonica passeggiata in spiaggia oppure, se è estate, dopo una giornata trascorsa ad abbronzarsi e li vedi arrivare paonazzi, in costume e ciabatte infradito!

Molte volte non sanno nemmeno la differenza tra il Cardigan e il Pembroke e sembra che uno valga l’altro purché sia Corgi, sicuramente con una leggera preferenza per “quelli arancioni”. Per carità, saranno anche affini, ma hanno pur sempre delle differenze, delle peculiarità, delle caratteristiche che li diversificano e che dovrebbero essere più che sufficienti per far riflettere su quale potrebbe essere dei due un futuro compagno di vita. Bè, fa niente, è lo stesso, sono inezie… ma siamo impazziti?!?!? Un’approssimazione, un pressapochismo inaccettabile se pensiamo che stiamo pianificando il destino dei nostri piccoli.
E dopo anni di campagne contro l’abbandono dove è stato sottolineato fino alla nausea di non regalare cuccioli in occasione del Natale, compleanno ecc., ecco ora proliferare, anche per le nostre razze, richieste di questo tipo e quando si tenta di spiegare perché non è positivo

scegliere un cane per interposta persona per poi regalarlo magari all’insaputa dell’interessato che probabilmente lo avrà visto in qualche film o cartone e avrà espresso ad alta voce  il classico desiderio di averne uno uguale ma allo stesso modo di chissà quanti altri “oggetti”, a quel punto sparisce tutta la giovialità espressa inizialmente e neppure ringraziano per i consigli regalati, comunque convinti che la loro altruistica idea di regalare un cane sia sempre la migliore!
Ma d’altra parte come si può reagire positivamente se la maggior parte delle richieste verte sulla disponibilità immediata del cucciolo e del costo. Dovrebbe essere chiaro e compreso che i nostri piccoli non sono merce esposta in un negozio, che il lavoro che facciamo dalla nascita fino al momento di separarcene è faticoso ma soprattutto colmo di amore per questi piccoli esseri pelosi e il nostro intento, speranza e volontà è quello di  trovare nel mondo la loro bipede anima gemella. Un bipede che li stia attendendo con trepidazione e non veda l’ora di colmare d’amore la propria vita e quella del suo futuro fedele amico quattro-zampe-corte.   
Lo scorso anno avevo scritto un post che già ravvisava un cambiamento nell’approccio delle persone all’acquisto di un Corgi ma a distanza di pochi mesi la situazione è sostanzialmente cambiata e le richieste di questo tipo non si contano. Che poi aldilà della richiesta si tratta anche di persone molte volte maleducate perché qualsiasi risposta diamo non si soffermano un minuto per ringraziare e presuntuose perché, quando si cerca di spiegare la motivazione di un diniego o una richiesta di ulteriori informazioni per cercare di capire le persone che ci troviamo di fronte, reagiscono offesi a morte come se li avessimo accusati di chissà quale gravissimo reato. Persone che non hanno mai avuto cani e sono convinti di sapere quale tipo di soggetto è meglio per loro. Persone che hanno avuto cani e nonostante tu spieghi che il Corgi non è un cane come gli altri se ne fregano e sono convinti di saperne di più di chiunque altro. Persone con figli poco educati che vorrebbero lasciare i miei preziosissimi fagottini pelosi in balia di mostruosi piccoli bipedi perché tanto “sono bambini”. Persone a cui piacciono molto ma li lascerebbero in giardino perché in casa sporcano.

Ecco, a tutte queste e altre che sicuramente ho dimenticato di citare vorrei dire di lasciar perdere, di rivolgersi altrove, di dimenticarsi della nostra esistenza e possibilmente anche di quella dei Corgi in generale perché persone così non giovano alla razza, a questa razza che per essere preservata e migliorata necessita di amore, conoscenza e perseveranza come è stato fatto finora.