domenica 30 dicembre 2018

Botti di Capodanno, che fare?


 Come ogni anno in questo periodo si torna a parlare di botti e del terrore che molti dei nostri amici a quattro zampe manifestano dinanzi a essi, una situazione davvero spiacevole che può sfociare in diversi comportamenti compulsivi e che è in grado di condizionare fortemente le nostre serate di festa in compagnia dei nostri cani.

 La richiesta da parte delle persone che si informano sui metodi per placare le ansie o per risolvere i problemi connessi genera in rete una proposta assai vasta di risposte. Spesso queste risposte arrivano anche da persone titolate, con competenze specifiche, ciononostante presentano a volte inesattezze, o letture errate di studi più recenti. A volte rimangono fortunatamente parole perse nel vuoto, altre purtroppo generano comportamenti sbagliati, con esiti spesso disastrosi. E’ il caso dell’articolo di recente pubblicato dalla dottoressa Gargano, relativamente agli abbracci e alla possibilità di “confortare” il proprio cane in crisi di panico con gli stessi. 
Citando a riprova della sua teoria lo studio della Dottoressa Kerstin Uvnas-Moberg, luminare in campo degli studi sugli ormoni del “benessere”, nei quali si ottiene palese conferma della produzione di ossitocina durante gli abbracci… dimenticando però che lo stesso studio, ahimé, conferma quanto già risaputo dai tempi di Eibl-Eibesfeldt, ossia che tutto questo si realizza esclusivamente tra primati, uomini e scimmie, che sono gli unici esseri viventi a usare l’abbraccio per dimostrare affetto, protezione e quant’altro.
 Aspetti decisamente più pregnanti (ma qui parliamo di una studiosa che vive con i cani) vengono esposti dalla dottoressa Gallicchio e ci consentono di percorrere le varie tappe attraverso le quali si va realmente fissando questo problema e di dimostrare come molto probabilmente siano proprio gli atteggiamenti sconsiderati da parte nostra, nel vano tentativo di porvi rimedio, a produrre gli esiti più terribili. Chiunque infatti affronti sul campo la soluzione dei problemi comportamentali ben presto si accorge della scalarità con la quale il problema si manifesta. Nessun cucciolo entra nel panico al primo botto. Tutti i proprietari segnalano una crescente paura, che si va marcando anno dopo anno, sino a sfociare in episodi fobici puri, incontrollabili. Cosa accade? Come spiega la dottoressa Gallicchio, il cucciolo rimane probabilmente perplesso, dubbioso, di fronte a questi scoppi potenti ai quali non sa dare una spiegazione e cerca conferme attorno a sé, ma occorre che si associ a questa condizione qualcosa di spiacevole che ne marchi o ne confermi in qualche modo lo status di “pericolosità” per il cane affinché si trasformi in paura. Esattamente come accade per i forti temporali e per tutti quei fenomeni impressionanti ai quali il cane non sa dare un’origine o una spiegazione. 

Esempio classico è quello del cane che si ritrova chiuso in terrazza allo scoppio di un temporale, senza possibilità di fuga, ma non solo. Se infatti ci è facile capire le dinamiche che scattano nella mente del nostro povero amico nella condizione specifica appena citata, in altri casi risulta più complicato comprendere chi e cosa giunge, nel corso degli anni, a confermare al nostro compagno la giustezza del suo crescente terrore. Da buon osservatore e allievo di Lorenz escludo a priori l’interpretazione e cerco conferme nel mondo animale attorno a me. La prima, potente, mi giunge chiara da tutte le specie animali che vivono allo stato brado, le quali non entrano nel panico dinanzi ai noti fenomeni atmosferici. Questo quindi (non bastassero gli esperimenti in materia compiuti negli anni da molti studiosi) esclude in primis dai possibili “indiziati” ogni fenomeno naturale. Assolto “il resto del mondo”, mi restano quindi i bipedi vestiti, con i loro usi e costumi, le loro abitudini, le strutture che compongono il loro mondo. E qui mi fermo, perché, se non riesco a dire con precisione matematica quale sia il comportamento corretto da tenere, con certezza conosco quali sono invece i comportamenti da evitare. In pratica tutti quelli tenuti dalle persone che hanno cani che manifestano fobie in questo senso quando i loro cani entravano in stress. Mi pare ovvio. Di qui la mia domanda: quanto diffuso pensiate sia tra i proprietari il comportamento di confortare, coccolare, blandire a parole un cane spaventato? La risposta è altrettanto ovvia:

estremamente diffuso. Come negare che è la cosa che ci viene più spontanea? Ce lo dice la nostra biologia che, da bravi primati, “sa” quanto sia confortante per noi un abbraccio, quale scarica di ormoni “positivi” esso generi, come detto sopra. Ma solo per noi primati. Mi si obietterà che i nostri cani gradiscono le coccole e gli abbracci. Questo è vero, ma è un comportamento acquisito, che imparano tanto quanto un nuovo linguaggio. E per farlo hanno bisogno di tempo e di conferme, ma ci arrivano. I cani sanno imparare nuovi linguaggi, e non solo quello dell’uomo, come dimostrano i milioni di cani che vivono in totale armonia e simbiosi con i gatti nelle nostre case. Ma esattamente come accade per noi quando impariamo un nuovo linguaggio, hanno bisogno di tempo. Di certo un cucciolo non sa godere di un abbraccio, come sanno bene tutti gli allevatori fin dal primo momento in cui han provato a strapazzare di languide coccole un tenero cuccioletto. Un cucciolo in braccio le prime volte entra subito in stress, sbadiglia e distoglie lo sguardo, è in tensione.
 Insomma, vorrei tanto poter dare ragione alla dottoressa Gargano ma un cucciolo spaventato certo non trae beneficio dal nostro tipo di conforto. Anzi. Riceverà segnali che interpreterà secondo il suo linguaggio, assai probabilmente trovando conferme al suo status di stress.

Se poi vogliamo anche addentrarci in una presunta possibilità di umana funzione dell’abbraccio sul cane, dobbiamo considerare che anche per noi lo stesso genera differenti livelli di produzione di ossitocina, conformemente alle varie situazioni. Va da sé che da bambini l’abbraccio della mamma ha un potere assoluto, vincente dinanzi a qualsiasi mostro terrificante. Ma provate a pensare a voi, se alla stessa età, in una situazione analoga, foste stati abbracciati da un altro bimbo o da un adulto altrettanto tremebondo: credete forse che ne avreste avuto i medesimi benefici? 
Anche per noi conta quindi “chi” compie l’azione, e qui occorre allora chiedersi “chi” siamo noi, eventualmente, per i nostri cani. Chiediamoci soprattutto quale tipo di personalità possiede quel proprietario che si tuffa a confortare il suo cane a suon di coccole e con voce mielosa e quale sia quindi il ruolo che ricopre per il suo cane. Certamente il suo abbraccio verrà letto in maniera similare a quello di un fratellone impaurito. 

Ancora una volta ciò che mi conferma questa affermazione giunge dalla comparazione degli studi effettuati, onere purtroppo troppo spesso dimenticato dalla scienza odierna. Se cerchiamo il motivo della presenza dei buchi neri di conoscenza tra scienze umane affini lo dobbiamo purtroppo a questo enorme limite degli studiosi e del mercato che li occupa. Dalla pratica osservazione del problema attraverso educatori e comportamentisti attivi abbiamo chiaramente evinto come il problema sia particolarmente marcato nelle razze da pastore conduttore, assente del tutto nei difensori e nei molossoidi. Cercare delle risposte nella sensibilità degli uni rispetto agli altri è fuorviante e, fermandoci a questa semplice osservazione potremmo aprire la strada a un mare di differenti e fantasiose spiegazioni.  Per capire invece il motivo per cui questo accade dobbiamo riferirci alla scala neotenica e all’età mentale che raggiunge un cane da adulto. Scrivendo i nomi delle varie razze accanto ai vari gradini, ci accorgeremo infatti che il problema aumenta con l’aumentare dell’età mentale che una razza raggiunge allo stadio adulto. Tanto maggiore è, quanto più risultano “sensibili” alla paura di botti e temporali. Capire perché questo accade ci regala la conferma di quanto affermo o, quanto meno, la certezza di cosa non fare, poiché rientra fra gli atteggiamenti a rischio. 
Infatti soltanto inserendo questa ideale cartina tornasole attraverso gli indizi provenienti da diverse aree di studi ho trovato la risposta, che risiede nella diversa ottica attraverso la quale un pastore conduttore (cane adolescente o preadolescente) osserva il suo “bipede”, rispetto a un molossoide (cane infante) e affini. Per il cane infante infatti il bipede molto facilmente rappresenta la mamma-Dio, ruolo che si ricopre per automatismo e le sue certezze biologiche derivano dal contatto con la stessa, dal fatto che sia presente, effetto bastante a garantire vita e sicurezze.


Diversamente nel periodo preadolescenziale, così come in quello adolescenziale, esiste la massima attenzione a quelle che sono le azioni dei soggetti di riferimento, dei leader, l’ottica attraverso la quale il cane imposta la sua vita è differente. Se per il cucciolo l’obiettivo primario della vita è non perdere il contatto con mamma-tutto, che rassicura e nutre, con la crescita l’obiettivo diventa la cooperazione col leader, che si sublima nell’atto della caccia comune. Sempre con il medesimo obiettivo quindi, nutrirsi e proteggersi, ma con diversa motivazione e quindi, con diverse risposte ai medesimi stimoli. Per i primi infatti è fondamentale che la madre ci sia, per i secondi invece non conta la presenza ma ciò che fanno i leader, i suoi riferimenti nel gruppo. Attenzione quindi non più alla persona, ma all’azione che la stessa compie, come espressamente richiesto in quella delicata fase formativa e per il resto della vita. 
Per questo mi sento di poter affermare che molto spesso sono i nostri vani tentativi di confortare i nostri cani a renderli sempre più sensibili ai botti, anno dopo anno. Sono le nostre reazioni, fosse anche soltanto il vagare per casa cercando soluzioni di tutti i tipi, perché questo ho visto e ascoltato nei racconti dei proprietari in questi anni. Quando ti rendi conto di aver preso una strada sbagliata ad un incrocio torni indietro e poi tutto puoi fare, tranne scegliere nuovamente la stessa strada. Regole empiriche che i navigatori hanno reso inutili e gli studiosi han dimenticato. 

Una volta compreso questo la strada che personalmente ho imboccato con buon successo da qualche anno si chiama “fiesta grande”. Sicché i rintocchi della campana terrorizzante, il rombo terribile del tuono, lo scoppio del petardo, per me diventano lo squillo di trombe che segnala l’inizio della festa del cibo. Solo gioia, dalle mani cadono prelibatezze di qualsiasi tipo. Non sono un rude e io me la gioco così. Affermare che non si deve coccolare un cane spaventato non significa fare i duri o essere insensibili, la vera sensibilità di un buon bipede sta nel capire ciò di cui ha bisogno il suo cane e comportarsi di conseguenza. Quindi tenete in tasca la voglia di tenerezze per l’ultimo dell’anno e siate pronti a sparare pezzi di panettone e allegria assieme ai petardi dei vostri incoscienti vicini. Fatelo coi cuccioli soprattutto e non troveranno conferme ai loro dubbi. Molti addirittura lo digeriranno come un fastidioso segnale positivo.
Per i proprietari invece di soggetti adulti che presentano già il problema in maniera marcata si può provare. Qui dipende dall’età e carattere del soggetto e da quanto siete bravi voi come festaioli!!!
Godetevela così, con buona pace degli aspiranti teneroni a tutti i costi.
A capodanno nessuna dolcezza…. Ma molti dolcetti!
Buone Feste a tutti!








domenica 18 febbraio 2018

Opalini di tutti i colori

 La nascita dei nostri piccoli è sempre un grande momento di attesa, aspettativa e felicità .
In questo senso anche l’arrivo degli Opalini, i cuccioli di Opal e Ozzy, è stato come sempre motivo di gioia infinita e di euforia contagiosa perché amiamo moltissimo questi due pelosi… così come tutta l’allegra brigata di spargipelo, d’altro cantosicché l’occasione di una nascita, che per noi è comunque sempre “la” nascita, ci fa diventare come quei nonni che stanno attaccati al vetro delle nursery a litigare per il dominio delle somiglianze familiari dei piccoli neonati. Verificare le somiglianze e le peculiarità che più ci piacciono dei genitori riflessi sui loro piccoli è quasi una gara a chi ne scopre di più perché mette in gioco abilità nel riconoscerle, abilità che, puerilmente, ci fanno sentire davvero grandi e orgogliosi allevatori. Una cucciolata oltre a essere un meraviglioso momento di pura felicità fine a se stessa è anche un buon momento di riflessione sul lavoro di allevamento, un importante tassello che si aggiunge a un puzzle che mai si completa e che sempre si modifica, nella speranza e convinzione che ciò avvenga per il meglio. 
E il ruolo dei colori, nei Cardigan molto più che nei Pembroke, è parte importante di questo lavoro poiché la volontà di rispettare le regole dettate dallo standard italiano (ENCI) e internazionale (FCI) ci pone di fronte a una questione da tempo irrisolta, quella dell’importanza o meno di creare delle discriminanti su basi estetiche quali il colore del pelo, del semplice tartufo (il naso) e delle rime palpebrali, come vedremo nel nostro caso. Sui nostri Cardigan eseguiamo i principali test genetici per la tutela della loro salute ed eseguiamo anche quelli per la trasmissione dei colori proprio per cercare di pianificare gli accoppiamenti nel modo migliore ma come natura insegna la diversità genetica è un patrimonio inestimabile e se l’attenzione alle trasmissione delle malattie genetiche per noi è rilevante, prioritaria e condizionante, quella per la trasmissione dei colori sinceramente ci lascia un po’ perplessi.
A rigore di standard nel Cardigan sarebbero ammessi tutti i colori di pelo: il problema sta invece nel colore del naso, rime palpebrali e labiali, che deve essere nero. Cosa che di fatto porta a escludere tutti i colori a base fegato, o marrone che è chiaramente una semplice colorazione e nulla ha a che vedere con degenerazioni o patologie. Non bastasse questo, l’evidenza è data dalle numerose razze da lavoro in cui è presente la colorazione marrone e molte delle quali (tipo lo Sheperd Australiano, il Cattle dog, il Kelpie, tanto per citarne alcune) svolgono addirittura le medesime mansioni del nostro amato Gallese a gamba corta necessitando, presumibilmente, di simili attitudini. Da tempo ormai i biologi genetisti, quelli stessi che ci aiutano a identificare tramite analisi del DNA ciò che reca o meno il genoma dei nostri beniamini, ci ammoniscono sul fatto che il vero rischio per una specie sta nella poca variabilità genetica, non nelle mutazioni che sopravvengono.
Non esiste una sola specie vivente, animale o vegetale, che si sia estinta per una mutazione sopravvenuta nel proprio genoma e che la rendesse inadatta alla vita! Ormai sappiamo bene che le specie viventi possono essere presenti in miliardi di esemplari sulla terra e rischiare di estinguersi se questi esemplari presentano tutti lo stesso genoma. E’ il caso della banana Cavendish,
distribuita in miliardi di piante ma tutte provenienti dal medesimo clone, sterile, quando è stata aggredita da un banalissimo fungo che però ha avuto un effetto devastante su quell’unico genoma che evidentemente non recava in sé la capacità di contrastarlo. Cosa che invece sarebbe sicuramente accaduta a più riprese se la popolazione esagerata di banane commerciali del mondo avesse trovato origine da diversi cloni provenienti da differenti piante. Se vi piacciono le banane voglio tranquillizzarvi, abbiamo imparato la lezione e salvato la permanenza di questo frutto esotico sulle nostre tavole.
Creando ovviamente una base che possedesse una ampia varietà genetica. Usando cioè più cloni di ceppi differenti. 
Ora, a fronte di tutto questo e soprattutto poiché parliamo di una razza come il Cardigan, presente invece in alcune migliaia di esemplari soltanto nel mondo, una qualsiasi azione che escluda una parte di genoma (rappresentata da quei soggetti portatori di alcune caratteristiche) arbitrariamente, senza cioè nessuna motivazione legata alla salute o all’attitudine richiesta, ci pare davvero una azione sconsiderata. Non vi sono altre parole. Controlliamo e in qualche modo marginalizziamo già giustamente quel che serve: oggi lavoriamo esclusivamente su soggetti liberi da Atrofia Retinica Progressiva (PRA free) e offriamo la garanzia di soggetti che non siano a rischio per la Mielopatia Degenerativa (DM), le due patologie che si possono manifestare nella razza e che sono controllabili tramite esame del dna.
Controlliamo il carattere e la morfologia, anch
e qui ovviamente “selezionando”… il che comunque in qualche modo significa escludere. Pensiamo possa bastare così, ed è questo il nostro obiettivo. Sicché, scegliendo di accoppiare Ozzy e Opal, sapevamo che entrambi erano portatori dell’allele b, che determina la diluzione del nero in marrone sia nei tricolori, nei quali appunto il prevalente colore nero diventa marrone, sia nei blue merle dove le parti di nero diventando marrone danno al colore l’aspetto e la conseguente denominazione di “red merle”. Sapevamo quindi che avremmo prodotto molto probabilmente dei soggetti fuori standard per quanto riguarda il colore. A conti fatti si sarebbe dovuto trattare di un soggetto o due al massimo, stando a quanto evidenziato da Mendel. Ma, come sempre accade in questi casi, piuttosto che non osservare le leggi trascritte dal Grande Padre della genetica, i nostri puffolotti dimostrano chiaramente la veridicità della legge di Murphy (avete presente… quella che fa arrivare l’autobus soltanto quando voi vi siete allonanati troppo dalla fermata) e sembrano frutto della fantasia di Arlecchino . Già, i nostri bellissimi otto Opalini sono nati di tutti i colori!
Due bei maschietti brown e due red merle…. Ovviamente con gli occhi azzurri… non ci facciamo mancare nulla! Noi li guardiamo crescere e, mentre il buon Murphy si frega le mani, riconosciamo quanto morfologicamente un paio di questi siano assolutamente grandiosi. Pensiamo con rammarico che se fossero nati qualche anno fa oppure se appartenessero a un’altra razza sarebbero forse i soggetti di punta della cucciolata e avrebbero forse visto riconosciuto a tutti i livelli il giusto merito. Non sarà così ma poco conta, perché fortunatamente qui in Italia l’ENCI non pone restrizioni nell’allevamento ma solo nelle esposizioni, quindi si tratta semplicemente di trovare un altro tipo di divertimento, se è questo il problema. Purtroppo però non è così ovunque nel mondo ed esistono altre realtà, come ad esempio in Francia, Svizzera, Slovenia, dove non si può far riprodurre un soggetto se questo non ha superato una sorta di esame che ne verifichi la morfologia, cioè l’attinenza allo standard ufficiale. E questo porta per forza all’esclusione di soggetti sanissimi, bellissimi, bravissimi magari perché hanno un occhio celeste e sono neri o hanno il naso marrone.
Ancor più stupidamente poiché trattandosi di di portatori di geni recessivi possono, con i giusti accoppiamenti, generare soltanto figli dai colori “graditi”, restituendo intatto il panorama genetico alle generazioni future. Invece, certuni chiedono di gettare via un intero corredo di ricchezze per una macchiolina bianca in un posto dove è stato deciso che non sta bene, con degli effetti devastanti su quello che è la salute futura di una razza. E questo nel nome di una cinofilia che invece con atteggiamenti ignoranti e ottusi si va uccidendo.