Acquistai
il mio primo Welsh Corgi Pembroke nel 1981. Ero poco più di un
ragazzo e fin dall'infanzia avevo nutrito, con tutte le pubblicazioni
in materia canina che riuscivo a reperire
(merce rara... la mia
bibbia era la versione tascabile del Fiorone del '68, per la cronaca
pagata 600 lire), una grande passione che non potevo esprimere in
famiglia, dove non mi era concesso tenere un cane. Cercavo
semplicemente un compagno, un cane che condividesse la mia vita. E'
finita che i cani sono diventati la mia vita. Desideravo una
cucciolina di 2 o 3 mesi, femmina e tricolore. Naturalmente sono
tornato a casa con un maschio, fulvo e di 9 mesi, ma non mi sono mai
pentito di averlo fatto, anzi…
Il
mio primo Pembroke ha seguito, scandendo con i tempi lunghi di quella
discreta e costante presenza che caratterizza la Razza, la
trasformazione di un inquieto giovane metropolitano con forte
tendenza al nomadismo in un tranquillo e sedentario uomo di campagna,
le cui uniche e faticose "escursioni nel mondo civilizzato"
sono esclusivamente dedicate a scopi cinofili. Così la passione è
diventata mania, la malattia si è cronicizzata, il piacere di avere
un cane è divenuto necessità…
In
questi trenta e più anni ho imparato a leggere i sentimenti negli
occhi dei miei cani e a ignorare la disperazione in quelli di mia
moglie, unitamente alla convinzione che per essere buoni allevatori
occorre anzitutto attitudine alla prevaricazione famigliare (cani e
peli in ogni dove e sempre, vacanze praticamente mai, stalloni o
fattrici come regali di compleanno al coniuge e sevizie psicologiche
di vario genere). Ed è un errore credere che il diretto
coinvolgimento del coniuge possa portare qualche beneficio negli
equilibri domestici.
Nella
nostra grande famiglia ha portato, negli anni più recenti,
all'ingresso di una seconda razza, i "cugini" Cardigan, il
cui virus è entrato in famiglia proprio grazie a mia moglie: ma gli
effetti non sono cambiati. Non ci sono infatti i "miei"
Pems e i "suoi Cardis" ma, esattamente come accade per i
figli, tutti sono "miei cani" quando mordicchiano un
tappeto o visitano il secchio della spazzatura, mentre invece
diventano i "suoi cani" quando vincono alle expo o
dimostrano la loro intelligenza.
Meno
scherzosamente credo che una possibile formula del corretto
allevamento includa per forza Conoscenza, Costanza, Obiettività
(come possiamo tentare di correggere i difetti dei nostri cani se
non sappiamo o non vogliamo riconoscerli?) e Umiltà, la capacità di
rimettersi costantemente in gioco e non ritenersi mai "arrivati".
Perché il bello dell'allevamento sta proprio nel fatto che vi
è un fine preciso verso il quale si tende (il modello dello
standard) ma non vi si arriva mai poiché, com'è evidente, il
cane perfetto non esiste. E ogni nuova cucciolata rappresenta
una nuova emozione, un momento unico dove concorrono conoscenza,
abilità e fortuna in dosi variabili, ma dove è anche vero che senza
un’adeguata preparazione non si approda a nulla.
Proprio
per questo voglio dedicare il mio ultimo pensiero a Claude Rosèo de
Trainè (Clode), che
ha guidato i miei primi passi nel mondo della cinofilia e a Sheila
Burgess (Shallianne), la mia grande maestra di sempre, prodiga di
consigli e spiegazioni anche quando a nessuno interessava un
ragazzotto italiano che si aggirava a bordo ring chiedendo di tutto a
tutti. Grazie Sheila per gli insegnamenti e grazie per i cani che mi
hanno regalato così tante soddisfazioni nei ring di tutto il mondo.
Campioni di ieri che ancora vivono nei campioni di oggi.
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